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   “Una cascina? Un campo di girasoli? Un campo di granoturco?“
   Il treno sferragliava con rumore monotono. Di tanto in tanto il buio improvviso d’una galleria spingeva i viaggiatori ad alzare gli occhi e a guardare fuori, con un sussulto di paura. 
  Paola invece restava incollata al finestrino e chiudeva gli occhi. Aspettava immobile fino a che non capiva che la galleria era finita e il paesaggio si apriva di nuovo davanti a lei. Allora li spalancava di colpo. Ma prima provava ad indovinare cosa avrebbe visto: una cascina? Un campo di girasoli? Un campo di granoturco? 
   Il treno viaggiava verso sud e le case, i campi, gli alberi fuggivano verso nord come atleti in corsa. “Buffi”, pensò Paola. Il paesaggio cambiava in fretta. Era come se si vedesse già dalle case e dalla campagna intorno che il mare si avvicinava. Sempre di più, sempre di più... E poi che era lì a due passi.
   “Uhm ! Buono l’odore del mare!“ pensò Paola. 
   Presto avrebbe visto case imbiancate a calce con le pareti percorse da buganvillee fiorite. Ma sarebbe andata oltre. Fino ad arrivare ad una piccola stazione dipinta di rosa, dove non scendeva nessuno dal treno, solo la sua famiglia carica di borse, valigie e sacche di plastica colme di giochi.
   “Comincia la nostra tranquilla estate al mare! “diceva il papà. Poi si guardava intorno col naso per aria e sembrava voler catturare tutti i colori e gli odori nuovi. Valerio era già lì ad aspettare con l’Ape sulla quale di solito portava il pesce al mercato. Caricava le borse e Paola sul cassone e li portava al villaggio. Il papà e la mamma seguivano a piedi, lungo la strada tortuosa coi ciuffi di gramigna che invadevano l’asfalto. A volte veniva a prenderli Matteo con la sua macchina rossa dal muso imbronciato. Era una specie di ingresso trionfale. Tutti accorrevano a salutare e sembrava che si fosse riformata una grande famiglia divisa da mesi di lontananza.
   Come ogni estate Paola ritornava a Sant’Elmo, un villaggio di pescatori lungo una spiaggia  di sabbia chiara: case affacciate sul mare, due strade in croce, una fila di barche pronte a scendere in mare. Lì ritrovava Gianni e Camilla, che lei chiamava gli amici dell’estate. Anche loro scendevano dal treno alla stazione dipinta di rosa, salivano sul cassone dell’Ape di Valerio e raggiungevano una delle case del villaggio, coi muri imbiancati a calce le nasse nel cortile e le reti stese sui muretti di sassi.
   Paola sentiva forte l’odore del mare quando la mattina correva sulla spiaggia, prima che il sole si alzasse troppo e infuocasse la sabbia. Cercava sassolini colorati, ma trovava anche altre cose. Quando era fortunata trovava delle piccole conchiglie, gusci vuoti che il mare aveva buttato sulla riva. Però le conchiglie grandi, colorate, che facevano sentire il rumore del vento e delle tempeste, non c’erano. Le avevano prese i pescatori del villaggio e le tenevano sulle mensole alte delle cucine, tra i mazzi di rosmarino e le trecce d’aglio. 
   Quando le permettevano di toccarle, di rigirarle fra le mani, Paola avvicinava l’orecchio alla parte cava e ascoltava il rumore della tramontana. Immaginava il mare infuriato e per un attimo si sentiva dentro la tempesta. E le veniva un brivido. I pescatori, invece, le conchiglie non le ascoltavano mai. Dicevano che di tempeste ne avevano sentite tante e che il rumore del mare era nelle loro orecchie, da sempre.
   C’era però una conchiglia che Paola non era mai riuscita a vedere: quella che il Bracco teneva nella scatola sulla mensola alta dell’armadio e non lasciava toccare a nessuno...