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Intervista di Antonia Dalpiaz – Biblioteca Comunale di Malè - 15 dicembre 2012


Adriana Merenda è autrice di racconti e romanzi per ragazzi. “Capriole sull’asfalto” è il suo ultimo libro, edito da Nuove Edizioni Romane. Penso che piacerà ai ragazzi perché è un libro denso. Le psicologie sono ben delineate e le dinamiche complesse: conflittualità, amore, voglia di riscatto ... Raccontate con un linguaggio molto immediato, fotografico. Ma è un libro utile anche per gli adulti, che possono trovare delle indicazioni interessanti. 

D: Abbiamo appena assistito a una lettura teatrale tratta dal suo libro: che effetto le ha fatto sentire le sue parole, rivedere i suoi personaggi muoversi in questo spazio e raccontare la sua storia?

R. E’ stato interessante, a tratti sorprendente. Ho apprezzato l’interpretazione complessiva del regista e quella dei singoli attori. Mentre scrivevo quelle pagine il ‘ritorno’ era diverso: sentivo e interpretavo situazioni e personaggi con la mia voce. Quindi in modo più pacato. Ma è bello questo confronto.

D: Nel romanzo sono descritti due gruppi di ragazzi: quelli che cercano di vivere una vita positiva e quelli che hanno smarrito i punti di riferimento. Lei ha scelto di fronteggiare queste due realtà: i ragazzi che tentano di farcela e i ragazzi che si contrappongono.

R: Ho descritto una situazione di contrapposizione che sfocia in azioni violente. Non ci sono ravvedimenti e pentimenti. Il racconto non è consolatorio. I due gruppi sono nettamente distinti. Da un lato i bulli: Luca, Giorgio, Tania, caratterizzati dal desiderio di perseguitare, di trovare una vittima da sottomettere, ricorrendo non solo alle offese e alle piccole prepotenze ma anche all’aggressione fisica. Sono spavaldi e agiscono in gruppo. Dall’altro lato ci sono i ragazzi presi di mira perché considerati ‘deboli’. Tra questi la protagonista, Federica. E’ una ragazza normale, che non ha alle spalle situazioni di disagio e si rapporta agli altri in modo positivo. Ma non viene accettata. All’inizio resta isolata, ma poi trova appoggio in alcuni compagni di casse e riesce a reagire. Alla fine, l’ esperienza dolorosa che Federica affronta diventa un momento di crescita, una lezione di vita.

D: Il bullismo è una forma di debolezza usata dai ragazzi per nascondere un disagio? E lo fanno in gruppo per nascondere la fragilità?

R: Sì, i bulli non agiscono da soli e hanno bisogno di pubblico. Traggono forza da questo. Sono convinti di svolgere un ruolo apprezzato e importante, e questo dà loro sicurezza. A volte sono circondati da una “ corte” che li considera dei leader e li esalta. Per esempio, sull’autobus 19 Luca e Giorgio impongono a tutti le loro regole. Ma quando un giorno Giorgio si trova da solo, senza gli amici, si mette in un angolo, in silenzio. Non prova gusto a fare il bullo e vive un momento di triste solitudine: ha perso il suo ruolo e non sa immaginarne un altro.

D: A proposito della presenza della famiglia nel libro: nella parte ’ buona’ c’è una presenza positiva (i genitori di Federica, la mamma di Laura); per i bulli invece non viene indicata una presenza familiare, come se dietro ci fosse un vuoto. 

R: Infatti è spesso così: i genitori sono assenti. A volte sono molto permissivi. Ci sono anche genitori che giustificano certe prepotenze: sono contenti di avere dei figli “ tosti” che sapranno cavarsela bene nella vita. Si tratta di dinamiche complesse che andrebbero approfondite.
Nel romanzo i genitori di Federica dialogano con la figlia, cercano di darle risposte, di analizzare insieme a lei il perché dei comportamenti ostili che ha subito. Invece il papà di Luca, il bullo, ha un comportamento diverso: si limita a scrivere una lettera di scuse che il figlio copierà. Questo non è un atteggiamento educativo. Sarebbe stato più importante il dialogo. Infatti Luca non si pente di ciò che ha fatto, ma dice a se stesso che non si farà più beccare. Insomma, agirà con maggiore furbizia.

D: I professori sono anch’essi protagonisti della storia, anche se un po’ sullo sfondo. A volte sembrano distanti o assenti. La scuola che ruolo ha nella realtà? E’ attenta, assente, potrebbe fare di più? E come tratta l’esperienza del bullismo?

R: Ritengo che sia difficile per gli insegnanti percepire sempre e chiaramente questi fatti perché le azioni violente si manifestano quasi sempre al di fuori della scuola. Spesso sui mezzi di trasporto. In genere sono subite dalle vittime in silenzio, per paura o per vergogna. Quindi non vengono denunciate né agli insegnanti né ai genitori. Insomma, il gruppo tace e i singoli hanno paura. Ma quando le vittime si alleano, allora trovano il coraggio della denuncia. Comunque, indipendentemente da atti di bullismo veri e propri, gli insegnanti possono (anzi, devono) accorgersi dell’isolamento di un ragazzo all’interno di una classe e indagarne i motivi. 

D: Nel libro sono presentate delle storie incrociate. Federica è la protagonista, ma chi le è vicino ha una propria storia personale. C’è un intreccio di personalità, e c’è dolore, esperienza, riscatto in una dimensione corale. Sono tasselli che si incrociano e rafforzano la storia di Federica.

R: Sì, il libro percorre un intero anno scolastico e le esperienze vissute dai protagonisti sono complesse. Per esempio, c’è la storia bella e un po’ tormentata tra Federica e Mauro. Ci sono i sentimenti di affetto e di amicizia di Laura verso Simone e Maraf. Le vicende sono incrociate con una tecnica che alterna il momento narrativo alle pagine del diario di Laura e di Simone. Questo contribuisce alla coralità del racconto. Ho immaginato due modi diversi di scrivere un diario, uno femminile e uno maschile. Asciutto, essenziale, quasi surreale quello di Simone; emotivo quello di Laura, che riversa nelle pagine tutte le sue emozioni. 

D: Il libro si legge volentieri, ha un ritmo piacevole. E’ una scrittura interessante, la sua. Lei non ha evitato un linguaggio che potesse fotografare questa generazione ma ha usato delicatezza nel proporre il dolore. E’ entrata nella loro anima senza la violenza di un linguaggio forte ma con garbo.

R: Mi sono avvicinata ai loro sentimenti, alla loro sofferenza, con cautela e rispetto. Quanto al linguaggio, per me è stata una sfida. Non volevo imitare lo slang dei ragazzi, non volevo forzature stilistiche. Però non potevo ignorare il loro linguaggio che, naturalmente, mi è estraneo. Quindi ho dovuto cercare questo punto d’incontro, un equilibrio tra il mio modo di narrare e forme del linguaggio giovanile opportunamente inserite. 

D: Nel libro lei ha scelto le farfalle come elemento negativo. Di solito invece sono indicate come simbolo positivo, metafora della voglia di volare. Perché ha scelto proprio le farfalle per esprimere le paure di Federica?

R: Semplicemente perché conosco una persona che ha paura delle farfalle (che non è una fobia così rara come si può pensare). Ho visto quindi gli effetti paralizzanti di questa paura e mi è stato facile descriverli. Nel romanzo questo particolare è inserito in un contesto più ampio: quello del passaggio di Federica dall’infanzia alla giovinezza. Federica ‘cresce’ quando finalmente comincia a superare la sua paura, grazie anche all’aiuto di Mauro (vedi la scena in cui riesce a toccare la foto della farfalla). Allora abbandona anche l’immagine protettiva del Mago Plum e si sente pronta ad affrontare il futuro, cioè una nuova scuola, un diverso autobus.

D: Lei ha dunque descritto qualcosa che ha osservato bene. Questo mi fa pensare alla componente autobiografica del romanzo. Leggendo mi sono soffermata sul fattore autobiografico: c’è qualcosa di lei nella storia narrata in questo libro?

R: In tutti i libri che scrivo ci sono elementi autobiografici. Ma non nel senso comune di una narrazione autobiografica. Questo è un concetto che dovevo sempre chiarire ai miei studenti che, in modo sbrigativo ed errato, catalogavano come autobiografici i romanzi in cui trovavano un “ io narrante” e frutto di totale invenzione tutti gli altri. Nessuna delle due affermazioni è corretta. Un autore, qualunque argomento affronti, parla di qualcosa che conosce bene: non per averla vissuta in prima persona, ma perché ha osservato, letto, riflettuto, appreso, discusso. Si è portato dentro a lungo il nucleo centrale della storia prima di intraprendere un percorso creativo. In questo modo elastico e largo un fatto o una situazione entrano nella sua esperienza di vita. Da qui transitano nella sua opera. Ma non si può parlare di scrittura autobiografica in senso stretto (che tra l’altro è piuttosto rara).

D: Federica, la protagonista, ha una forte nostalgia del lago e solo lentamente comincia ad amare la città. Ho collegato questo con la nostalgia che lei ha del mare e della Sicilia, che lei ama profondamente.

R: Questo è forse l’elemento più strettamente autobiografico del libro: la nostalgia del lago, cioè dell’acqua. Quanto ai luoghi del romanzo, sono inventati ma in realtà sono una sintesi di luoghi diversi. La città dove Federica si trasferisce è Milano, ma ho descritto l’istituto Vittorio Emanuele pensando al bellissimo “ Maria Luigia” di Parma, mentre il cinema di via Farini è un ricordo dei miei anni universitari a Bologna. Quanto al lago, è il lago di Garda. Ma anche in questo caso ho mescolato luoghi diversi: il paese di Federica è una sintesi di Bardolino (con tanti giardini) e Riva del Garda (con le scuole di surf e di vela). Il nome, Torbello Sul Lago, è mutuato da Torbole.

D: L’illustrazione di copertina è efficace: mostra una ragazza che sembra volare verso un ragazzo che l’attende. L’asfalto può fare male, ma la parte che fa da cornice all’asfalto è un prato verde, là dove le capriole possono messere fatte. L’illustrazione diventa così un racconto. Ma i ragazzi sono anche colpiti dal titolo. Direi che è molto bello e ‘funziona’ perché va a relazionarsi perfettamente con la storia. Lo ha scelto lei?

R: Sì, l’ho scelto io. Il titolo è preso da una frase di Laura, in uno degli ultimi capitoli. Dopo l’azione violenta subita da Maraf, Laura dice: c’è un posto in cui nessuno urla africano a Maraf? Sono stanca di fare capriole sull’asfalto! Fanno male! 
Ma Laura capisce anche che non basta scappare, occorre combattere, infatti aggiunge: voglio mostrare le spine, voglio combattere. Ecco sì, dobbiamo combattere per ciò in cui crediamo e non abbassare la testa. Il libro ci suggerisce questo.