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Intervista di Alessandra Milanese - "L’ Arena" - "Bresciaoggi" – "Il giornale di Vicenza",  4 gennaio 2013


Scuola: romanzo-verità «Oggi è un “diverso” il ragazzino che studia» 
ADRIANA MERENDA in libreria con il romanzo Capriole sull'asfalto
Un anno di scuola. Un anno, la terza media, fondamentale per aprirsi, per capire, per crescere. Con in più lo scontro con un fenomeno che cresce nelle nostre scuole: il bullismo. Lo racconta Adriana Merenda, insegnante di lettere e scrittrice di lungo corso, nel suo libro Capriole sull'asfalto (Nuove Edizioni Romane, 242 pagine, 12 euro). 
Stavolta, dopo tanta letteratura fantastica (l'esordio con Aspra di Boccasole, poi Il palazzo del principe Ik, Il mistero delle luccipietre), scrive invece per i ragazzi. Un libro realistico, nato dalle sue esperienze di professoressa a Trento. 
Protagonista Federica, 13 anni, che lascia il paese per trasferirsi a Milano. Le manca la campagna. I nuovi compagni prima sembrano non vederla, poi la escludono, infine la maltrattano. Ma la ragazzina trova la forza di lottare per la sua dignità e anche di aiutare un compagno, Maraf, perseguitato solo perché di origine egiziana. 

D: Perché ha scelto di scrivere per i ragazzi?

R: Perché l'ho trovato liberatorio: apre mondi infiniti, in cui si può spaziare nei vari generi. Stavolta ho voluto andare oltre il libro fantastico, il genere in cui finora mi sono cimentata. Mi è andata bene: Capriole sull'asfalto è il mio romanzo che amo di più. Credo di aver raccontato uno spaccato non oleografico di una certa adolescenza. 

D: Ha già chiare le sue storie prima di raccontarle o personaggi e trame si costruiscono mano a mano fino a vivere di vita propria? 

R: Non ho schemi dettagliati; parto da un'idea, che poi si sviluppa. I personaggi arrivano a darmi loro stessi suggerimenti. Nel romanzo sono partita dal bullismo sul bus numero 19, quei gruppi di ragazzini che si mettono in fondo a gridare soprannomi offensivi ai compagni, fino a gettare i loro zainetti dai finestrini. Oltretutto una scena che non avevo visto, mi era stata raccontata. Il titolo Capriole sull'asfalto viene da un'espressione di Laura, la ragazzina che diventa amica di Federica. Con Simone e Mauro fa parte del gruppetto dei ragazzi ancora genuini: “Non voglio più fare capriole sull'asfalto” è una metafora. Vuol dire: non voglio più farmi del male, le capriole voglio farle sull'erba. 

D: Federica, la protagonista, che deve trasferirsi nella grande città e la vive come un luogo ostile; che avverte di essere esclusa dai nuovi compagni... Federica a un certo punto decide di ribellarsi. Perché? 

R: Perché era giunta al punto di sentirsi vigliacca. Quando subisce un sopruso da Tania — la ragazza più bella, più matura, quella che c'è sempre in tutte le classi, circondata da un piccolo clan adorante — Federica dall'avvilimento passa all'indignazione. Vuole ritrovare la propria dignità, riesce ad uscire dal suo isolamento, allaccia rapporti con Laura e Simone e insieme riescono a reagire ai prepotenti. Riescono anche a salvare Maraf, è il momento cruciale del romanzo, liberando il ragazzo che era stato bagnato, legato e chiuso nella palestra della scuola, senza telefonino, alla fine delle lezioni.

D: Questa è una realistica descrizione di bullismo maschile. Ma nelle scuole esiste anche il bullismo al femminile? 

R: Certo. Ed è molto forte. Non si arriva a violenze fisiche come da parte dei maschi; nelle ragazze è più subdolo, meno evidente, ma anche più velenoso.

D: In questi ultimi anni le sembra che il bullismo nelle scuole sia aumentato? Chi ne è il bersaglio più frequente?

R: È aumentato in maniera esponenziale dopo il ventennio di propaganda della Lega. I bersagli sono, al Nord, i meridionali e gli immigrati. Ma c'è anche una forma di emarginazione paradossale, quanto diffusa: vengono presi di mira dai coetanei i ragazzi più educati, quelli che parlano bene l'italiano, che vengono da buone letture, che a casa non passano il tempo davanti alla playstation. Sono visti come «diversi». 

D: Quando Federica trova i pochi amici con cui reagire all'andazzo, il gruppetto viene isolato. Capita davvero? Dove sono la scuola, la famiglia? 

R: Le famiglie spesso sono assenti; i genitori non conoscono più i loro figli diventati adolescenti; manca il dialogo. Oltretutto padri e madri, che lavorano entrambi, non hanno tempo da dedicare alla famiglia e cercano di compensare il senso di colpa accondiscendendo alle richieste dei figli e riempiendoli di cose. Creano così dei teppistelli, che sanno di avere le spalle coperte. Talvolta, inoltre, il disprezzo per lo straniero nasce proprio in famiglia. Ho letto certe frasi, riportate da casa, nei temi dei ragazzi... La scuola fa quel che può, ma deve subire le scelte di certi ministri. Manca il dialogo con le famiglie, che difendono sempre i propri figli. 

D: Alla fine, nel romanzo, i buoni vinceranno e i cattivi saranno puniti. Ma questi ragazzi capiranno e si pentiranno davvero? 

R: Non credo, non voglio dare soluzioni consolatorie. Luca, per il quale «gli stranieri non devono entrare a scuola», scrive una lettera di scuse. Ma in realtà gliela detta il papà. Lui pensa: «Non mi farò più beccare». Anche la bella Tania, che non piange mai, alla fine sarà costretta alle lacrime. Ma è un pianto di rabbia, non di espiazione. Piange solo per aver perso lo scettro. 

D: Perché ha messo nel libro dei capitoli che finge scritti, in prima persona, ciascuno da un protagonista della storia? 

R: Perché i giovani lettori potessero riconoscersi nella scrittura di loro coetanei, che ho provato a rendere. Sono comunque parti funzionali alla storia. Le riflessioni di Laura mi aiutano a far procedere la trama, guardando la vicenda da un punto di vista femminile. Con Simone mi sono divertita. Di solito i ragazzi non tengono un diario, così lui butta giù appunti in maniera sintetica: sono i suoi pensieri, la sua energia.