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Intervista di Giulia Guandalini - Premio “ Il castello-Giulio Nascimbeni” – Sanguinetto, 18 ottobre 2009.


D: Che cosa c’è di lei nella storia narrata in "Ritorno alla casa saracena"?

R: Anzitutto alcuni luoghi.
Nel libro descrivo un paese di mare e do esili informazioni che riconducono alla Sicilia. Spesso i lettori mi scrivono per domandarmi dove si trovi esattamente. Si trova sulla costa settentrionale, di fronte alle isole Eolie, ma è stato trasfigurato dalla mia fantasia. Invece la scogliera, il mare, la torre d’avvistamento sono descritti fedelmente. 
La casa saracena (che fu definita così da Tono Zancanaro, un pittore veneto che soggiornò in quella zona e la raffigurò in un quadro) oggi è assediata da altre costruzioni. Mi è sempre apparsa misteriosa e perciò ha esercitato su di me un fascino straordinario. Devo dire che, al contrario di Martina, in quella casa io non sono mai entrata. Ma, ora che l’ho resa protagonista del mio libro, non desidero più entrarci. Voglio che rimanga come l’ho immaginata.

D: Si coglie nel libro un affetto autentico per la natura. 

R: Il paesaggio è quello che io conosco dalla mia infanzia.
Nel libro c’è una natura prorompente, con agavi, ulivi, ginestre, querce, pini, cardi. Si vedono i colori e si sentono i profumi della vegetazione mediterranea, mentre dalla trattoria dell’Andaluso provengono i sapori della cucina mediterranea. Poi c’è la tavolozza colorata dell’esposizione dei gelati di Casimiro, che sembra un quadro di Mirò: i colori cambiano con le stagioni e connotano il passare del tempo. Ancora, ci sono i colori delle ‘coffe’ di Alik, con geometrie a tinte forti come quadri astratti. 
A me sembra che in questo breve romanzo ci sia soprattutto un trionfo di mediterraneità. 
La vicenda narrata è interamente inventata, ma in sintonia con il genere di storie che nei paesi del sud si tramandano, ricche di misteri e casualità inquietanti, di superstizioni e credenze popolari.

D: Si riconosce nel carattere di qualche personaggio?

R: Anch’io come Martina vivo in regioni molto diverse e ho ‘assorbito’ due culture: quella del mare e quella della montagna. 
Come lei, trascorro l’ inverno sulle Dolomiti e l’estate in Sicilia e quando mi allontano ho momenti di nostalgia per entrambi i luoghi. Mi sento parte di entrambe le realtà, in una bella e a volte contraddittoria fusione di sentimenti e confronti. Ma il mare rimane comunque una nostalgia più forte. 
Mi riconosco anche nella tenacia di Martina, nella volontà di non mollare, nella curiosità per la storia della sua famiglia, nella caparbietà della ricerca ricorrendo a ogni mezzo utile: biblioteca, internet, ricordi popolari. 
Infine, in me c’è anche parte del carattere razionale di zia Luisa. Mi riconosco nella leggera ironia di fronte agli eccessi di Martina, nella ricerca di solitudine per scrivere i suoi articoli. Anch’io ho bisogno di solitudine per scrivere i miei racconti. Solo che io scrivo in montagna, lei invece in un posto di mare dove d’inverno è forte l’odore di salsedine. Un posto che io le ho ‘prestato’. 

D: Quando ha capito che voleva diventare una scrittrice e che cosa vuol dire per lei esserlo?

R: Questa definizione così importante la sento un po’ estranea. Quando viene usata, ho l’impressione che si parli di un’altra persona. Comunque provo a rispondere.
Sono stata fin da ragazzina un’accanita lettrice e spesso dalla lettura nasce il desiderio di scrivere. Ma sono stata a lungo impegnata in altre attività. Ho fatto il ‘passo’ quando, rileggendo le storie che avevo inventato per i miei figli, mi sono piaciute e ho desiderato inventarne altre. Così ho scritto dei racconti che poi sono stati raccolti e pubblicati in due libri: “ Aspra di Boccasole” e “ Il palazzo del principe di Ik” . 
Mi piace molto scrivere, ma l’ho considerato e continuo a considerarlo un hobby.
Sul piano ‘pratico’, cioè della quotidianità, scrivere vuol dire passare alcune ore del giorno davanti al computer, in solitudine e concentrata. Non lo considero un sacrificio. Provo il piacere dell’invenzione. So che i personaggi che creo e i sentimenti che descrivo entreranno nell’immaginario dei giovani lettori. Grazie alla scrittura dialogo con essi, entro nel loro mondo fantastico e permetto loro di affacciarsi nel mio. C’è un momento di assoluta sintonia, direi quasi di intimità, in cui autore e lettore sono idealmente collegati dalle stesse immagini, da emozioni simili. Per questo i lettori desiderano conoscere gli autori dei libri che amano.

D: In questo romanzo infatti lei insiste sul tema del ‘raccontare’.

R: Sì, è un tema che fa da sfondo alle avventure di Martina.
Edoardo, il protagonista, scrive racconti. Il suo antenato, Nicola, scriveva racconti. Anche le vecchie foto collezionate da Emilio raccontano storie. E poi naturalmente c’è la tradizione orale, come dimostra la storia svelata dall’Andalusa. Insomma, nel romanzo insisto sull’importanza del raccontarsi e del raccontare.

D: Come crea i suoi personaggi: li crea prima di scrivere il racconto oppure anche essi si evolvono man mano che il racconto stesso procede?

R: Quando comincio a scrivere un racconto, non so mai come evolveranno esattamente i fatti e non so nemmeno quali pieghe del carattere dei personaggi emergeranno. In realtà abbozzo un inizio e ho un’idea approssimativa della storia che mi appresto a scrivere; poi mi lascio guidare dai fatti che narro, dalle loro implicazioni. I caratteri dei protagonisti si delineano con maggiore evidenza, si evolvono, e la storia segue dei percorsi che non avevo previsto. Invento lentamente e mi piace lasciarmi sorprendere. La vicenda mi prende, mi accompagna anche in diversi momenti nella vita quotidiana. Poi ho la soddisfazione del risultato, se mi piace.
Credo che non potrei scrivere un racconto imponendomi di seguire un percorso rigidamente prefissato: mi sentirei vincolata.